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DIARIO DI BORDO DEL 16 GIUGNO 2012
Primo intervento presso il Campo di accoglienza della Regione Abruzzo a Cavezzo (MO).
Siamo arrivati al campo di accoglienza di Cavezzo dopo oltre 6 ore di viaggio dall’Aquila, con il fuoristrada, il modulo AIB ed un carrello appendice per l’attrezzatura ed i bagagli. Questa prima partenza è composta dal nostro Responsabile nazionale dell’Area di Protezione Civile e da tre volontari della struttura di L’Aquila.
Abbiamo iniziato il nostro intervento “logistico” per migliorare la vivibilità.
E’ arrivato il grande caldo (ieri oltre 40°C) e con esso la difficoltà di dover vivere in una tenda di plastica o in mezzo alla terra battuta. Per questo, grazie proprio all’esperienza aquilana, si sta realizzando un’enorme copertura con telo ombreggiante sopra le tende pneumatiche, che assicura un buon abbassamento della temperatura. Comunque sono arrivati anche i condizionatori portatili.
Qui è palese l’integrazione fra diverse culture ed etnie, prime fra tutte quella islamica e quella cinese. Sono molti gli stranieri ospitati al campo che, di conseguenza, è arricchito di scritte trilingue. Ma per giocare, divertirsi o dialogare non c’è distanza o cultura che tenga e qui non si respira aria di diversità; qui si vive insieme, non solo per superare lo shock di chi ha perso tutto in un attimo, ma anche per continuare a vivere, ad andare avanti, a non piangersi addosso.
Quello che appare più evidente in questo “strano” sisma è proprio la voglia di ripartire, di riprendersi il prima possibile. Sarà lo stile emiliano, sarà la caparbietà di questa gente che ha da sempre costruito da sé la vita, coltivando la terra, allevando il bestiame e realizzando fabbriche e aziende. Da subito ci si è “rimboccati” le maniche.
A colazione abbiamo conosciuto una volontaria a dir poco particolare. Dalle ciabatte a fiori fucsia, dal leggero ma immancabile trucco e dall’assenza di una qualsiasi divisa o distintivo di riconoscimento, avevamo capito che non poteva essere una veterana di un’associazione di volontariato. “Ho perso la casa e non abbiamo più l’azienda” ci ha spiegato, evidentemente colpita dal nostro interesse, “ma ce la faremo; ce la dobbiamo fare in un modo o nell’altro. Per questo sono qua ad aiutare voi che state cercando di sollevarci. E’ il minimo che possa fare”.
Nel pomeriggio abbiamo presenziato alla cerimonia funebre di una delle vittime del sisma. Durante la sentita funzione il parroco ha raccontato la storia di Andrea, figlio della vittima, che subito dopo la scossa gli era andato incontro in bicicletta dicendogli: “Mia madre sta là sotto e non c’è più. Vado a cercare di salvare altra gente”. Tutta la comunità si è stretta attorno a loro, compresi i tanti volontari del locale gruppo di protezione civile cui questa emergenza ha portato un nuovo iscritto.
Queste sono solo brevi storie di gente ferita, ma storie “importanti” che ci fanno riscoprire, ancora una volta, i veri valori dell’uomo: la solidarietà, l’amor proprio, l’aiuto reciproco, la partecipazione corale, quella vera, sentita e non urlata.
Abbiamo necessità di questi eventi per ricordarlo?