Emergenza Profughi

Ormai da quasi un mese siamo impegnati giorno e notte in quella che sembra essere una delle più grandi emergenze umanitarie di questi ultimi tempi.
Tanto si è detto e tanto si continuerà a dire, ma nulla di più reale è il vissuto che i Volontari, di Nuova Acropoli e di tutte le altre associazioni attive nel territorio, stanno provando in prima persona.

"E' necessario ritornare a sperimentare la realtà di questa grande famiglia che è l'Umanità, la felicità dell'amicizia, della mutua fiducia, della voglia di collaborare ed aiutare, di potersi guardare negli occhi ancora una volta e ritrovare verità luminose al posto di ombre paurose."

Delia Steimberg Guzman Direttrice Internazionale Nuova Acropoli

 

Siracusa, 4 ottobre 2013 ore 3.00

Hosni ha tredici anni, un viso e un taglio di capelli come tanti dei nostri bambini “occidentali”, una tuta e un paio di scarpe solo un po’ meno alla moda dei nostri piccoli adolescenti e una vitalità e intraprendenza da far invidia ad un ventenne in piena salute. Hosni ha una sorella e una cugina che scambieresti con una tua coetanea del liceo o una collega matricola dell’università, ed un amico, Alì, che sfoggia il suo stesso sorriso, fatto di gioia e spensieratezza. Li accomuna il desiderio di imparare qualche parola della lingua di un paese al di là del mare tanto agognato e osservato in televisione, di conoscere i nostri nomi (esotici per loro quanto i loro per noi). Hosni ha una zia (che non è nera, né scura, né corvina né particolarmente “africana” bensì bionda e di carnagione pallida) che ha imparato l’inglese guardando i programmi delle reti satellitari e che ci chiede, quasi improvvisamente, “perché fate questo, perché siete qui?”, una domanda che forse noi abbiamo smesso di chiederci per l’abitudine e per il senso del dovere inconscio che ci siamo autoimposti, una domanda che, paradossalmente, dovremmo fare noi a loro, una domanda che, forse, per le loro esigenze ha una risposta semplice,  mentre per noi, potrebbe non essere così immediata .

Hosni e Alì mi raccontano  del loro viaggio durato quasi sette giorni dalla natia Damasco, per terra e per mare alla volta di un Paese in cui non vogliono rimanere (e ce lo ribadiscono anche con parole veementi le poche donne anziane che provano a ribellarsi alla “cattività” a cui le costringiamo per le nostre, forse sacrosante e forse no, esigenze burocratiche), un Paese che forse non ricorderanno se non  per la pizza e i biscotti di mandorla.
Sono due bambini che hanno attraversato una frontiera fatta di mare e di sete, di terra e di fame, di dolore e incertezza, di speranza e disillusione. Percorrono lo spazio che siamo riusciti a mettere loro a disposizione con la stessa incoscienza e spontaneità  che potrebbero avere nel cortile delle loro case, con gli stessi sorrisi, risate e gli stessi giochi di parole che dedicano ai loro coetanei. Provano a indossare scarpe, magliette, pantaloni (pantalon li chiamano loro) e cappellini, scherzano sui nostri nomi, ci chiedono delle nostre vite, indagano sulle cibarie e bevande che abbiamo disposto sul tavolo, si offrono di aiutarci a disporre le brande per la notte per le loro famiglie, poggiano le coperte sulle spalle delle loro madri e sorelle stremate dal sonno e dalla sofferenza, si informano sullo stato di salute dei bimbi più piccoli, ci chiedono dove andranno e se saranno ancora insieme. “I don’t know”, siamo costretti a rispondere.  Nel loro inglese stentato ci hanno descritto della situazione caotica e tragica del loro Paese di origine e alla nostra domanda, forse brutale ma schietta, su come si evolve la situazione non trovano le parole adatte o forse non riescono ad esprimerle per la commozione e ci rispondono con agghiaccianti e universali suoni onomatopeici (“boom, baam, bang”) che non lasciano spazio a dubbi.

Noi di Nuova Acropoli, a supporto della Capitaneria di Porto e delle altre forze dell’ordine ed insieme a tutte le altre associazioni di volontariato di Siracusa, affrontiamo ogni giorno un’emergenza che, ci convince ogni giorno di più, ha superato i limiti della contingenza e ha raggiunto livelli di importanza oseremmo dire epocale. A fronte dell’ipocrisia generale imperante e delle incapacità manifeste della politica (che dovrebbe essere quella con la P maiuscola) abbiamo dato e diamo, ognuno di noi, il nostro piccolo contributo: abbiamo fornito assistenza allo sbarco, supporto logistico e di primo soccorso, c’è chi si è prodigato per ore, nonostante la giovane età e fino a notte tarda a porgere bicchieri e piatti di bevande e cibarie a centinaia di braccia protese, chi ha predisposto brande e avvolto in coperte donne e bambini, chi ha offerto giochi e allegria a bambini neanche decenni, selezionato e invitato ad indossare abiti di tutti i tipi, ma ancora di più abbiamo offerto la nostra attenzione, le nostre orecchie e  le nostre menti alle loro domande e alle loro esigenze. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre e immaginiamo possano fare tutte le anime di questa Terra per i loro simili: credere nell’Umanità e nella sua evoluzione.